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PENSO Francesco detto CABIANCA



Francesco Penso detto Cabianca
(Venezia, 1665 – 1737) è stato uno scultore italiano.

Nacque a Venezia nel 1665, secondogenito di Pietro Penso.
Per poter ereditare la dote della prima moglie, Lucietta Cabianca, ne assunse il cognome. La seconda moglie, Laura Cipri, gli diede due figli, Tonina e Pietro: l'una morì all'età di ventun anni; l'altro, mandato ad apprendere l'arte della pittura a Bologna, vi rimase per tredici mesi senza riuscire a farsi un nome.
Allievo dello scultore veneziano Giusto Le Court, aprì in seguito una piccola bottega in proprio a Venezia, in calle Ca' Foscari, dove per un breve periodo lavorarono, intorno al 1693, Pietro Baratta e, più lungamente, Giulio Cesare Fontana.
Intorno al 1698, a causa di un'affezione venerea e dietro consiglio medico di viaggiare per mare, oltre che per la scarsezza di commissioni in patria, partì per la Dalmazia.
A bordo della nave che lo portava a Ragusa, il Cabianca non aveva attratto su di sé alcun'attenzione, se non per essere deriso.
Quando, però, durante lo scalo a Spalato venne ricevuto dal provveditore generale, suo conoscente a Venezia, il comandante Marco Gregorina, noto commerciante di Cattaro, promise di trovargli lavoro.
A Ragusa il Cabianca trascorse, insieme con la famiglia, diciotto mesi (1698-99), largamente ospitato dal rettore della Repubblica indipendente, che gli procurò l'incarico di eseguire, nella chiesa dei gesuiti, diversi capitelli ionici rifatti in seguito da M. Gropelli.
Su commissione del rettore Sorgo (come si deduce dallo stemma scolpitovi), eseguì anche l'altare marmoreo della Madonna del Carmine nella chiesa dei francescani.
Per intercessione del Gregorina, Giovanni Bolizza lo invitò ad eseguire l'interno della cappella delle reliquie della cattedrale di S. Trifone a Cattaro.
Appena arrivato (verso la fine del 1699), il Cabianca presentò il suo progetto e un modello in gesso che venne accettato dal committente; l'anno seguente ritornò a Venezia in cerca di collaboratori e del materiale necessario.
Ritornato a Cattaro (è documentato con i suoi aiutanti dal dicembre 1704 alla fine del maggio 1708), fu incaricato di eseguire gli altari maggiori delle chiese di S. Chiara e di S. Giuseppe.
L'artigiano che, accanto al Cabianca, eseguiva i lavori più impegnativi era M. Torresini.
Benché fosse stato ricompensato con 16.000 ducati, il Cabianca ritornò in patria avendone solo 500: i documenti dell'Archivio vescovile di Cattaro testimoniano che egli aveva giocato d'azzardo.
Tornato a Venezia, continuò a lavorare, ma la sua opera veniva sempre meno richiesta.
All'età di sessantacinque anni (1730) chiuse la sua bottega in S. Barnaba e partì per Gorizia, dove, però, non trovò alcun impiego e dovette ricorrere ai sussidi del figlio.
Dopo otto mesi si recò a Padova nella speranza di poter prendere parte ai lavori per l'altar maggiore della basilica del Santo; presentò anche un modello proprio, ma senza successo. Dopo sei mesi fece ritorno a Venezia e qui concluse la sua misera vita nel 1737.
Fu trovato morto in casa, dove aveva una piccola bottega, all'età di settantadue anni. Fu sepolto nella chiesa di S. Giobbe.

Le opere del Cabianca possono essere riunite in tre gruppi. Il primo comprende lavori isolati, per lo più del periodo giovanile, della fine del sec. XVII:

  1. copia in pietra dell'Antinoo del Belvedere, eseguita su modello in cera dell'originale (era stata commissionata, insieme con altre copie, per la corte di Francia, dove non giunse mai a causa della ritardata consegna da parte del Cabianca; fu acquistata per Ca' Corner, dove si trova tuttora);
  2. Bellona (firmata), in pietra, eseguita intorno al 1682 per l'Arsenale di Venezia, dove è ancora esposta (balaustra all'ingresso);
  3. Apollo, nel cortile interno del palazzo Barbarigo a Venezia;
  4. Saturno, in marmo, nel Giardino d'estate a Leningrado;
  5. S. Benedetto, in marmo, eseguito intorno al 1695 per la chiesa di S. Michele in Isola;
  6. SS. Trinità, S. Pietro, S. Paolo e altre statue in pietra nel cortile del convento dei Frari a Venezia;
  7. Madonna col Bambino e s. Giovanni, eseguiti circa il 1698 per la famiglia Nani in S. Trovaso;
  8. S. Giovanni, in marmo, per la chiesa di S. Giovanni Evangelista a Venezia;
  9. Benedetto XIII, in marmo, statua oggi dispersa, eseguita verso il 1726 per la chiesa di S. Domenico in Castello;
  10. S. Andrea, eseguito verso il 1731 a Padova.

Il secondo gruppo è costituito da decorazioni scultoree di complessi architettonici:

  1. grandi sculture (presumibilmente i Profeti) per la cupola di S. Maria della Salute a Venezia, fatte ancora nella bottega di G. Le Court;
  2. S. Tommaso, in pietra, sulla facciata di S. Tomà a Venezia;
  3. S. Giovanni Evangelista, S. Iacopo e S. Andrea, in pietra, eseguiti per la chiesa dei gesuiti a Venezia: i primi due posti in nicchie sulla facciata, l'ultimo sul coronamento;
  4. Il martirio dei ss. Simeone e Giuda, bassorilievo in pietra nel timpano del frontone della chiesa di SS. Simeone e Giuda o S. Simon Piccolo.

Il terzo gruppo, infine, comprende decorazioni soprattutto di altari e arredi di chiesa:

  1. altare della Madonna del Carmine, in marmo policromo, con angeli e ricca decorazione, eseguito nel 1698-99, nella chiesa dei francescani a Ragusa (Prijatelj, 1970);
  2. )cappella delle reliquie del duomo di Cattaro, con tutta la decorazione interna in marmo (1704-08): sei colonne e pilastri, statua di S. Trifone e undici angeli, trentasei testine angeliche decorative e otto bassorilievi con le Storie di s. Trifone sotto le quattro nicchie contenenti reliquiari in argento;
  3. l'intera parete con le sculture (S.Giovanni Battista, Padre Eterno e S.Vincenzo) sovrastanti l'altare maggiore e varie decorazioni ed iscrizioni sopra le due porte laterali, nella chiesa di S. Chiara a Cattaro (1704-08;l'opera è firmata): sull'altare, al di sopra di un drappeggio marmoreo, vi sono le statue di S. Francesco e S. Chiara, trentadue angeli (dei quali dodici grandi, venti più piccoli) e diverse testine decorative;
  4. altar maggiore nella chiesa di S. Giuseppe a Cattaro (1704-1708), in marmo bianco, con le statue del Padre Eterno e i Quattro Evangelisti in alto e, sull'altare, quelle di S.Francesco e di S.Trifone e cinque bassorilievi (rappresentanti la Fuga in Egitto, S. Giovanni Battista, S. Anna, un Diacono con palma e libro e S.Antonio da Padova);
  5. reliquiario, con tre pannelli in marmo bianco, rappresentanti la Crocifissione e la Deposizione, e pannello centrale rappresentante la Pietà, nella sagrestia della chiesa dei Frari a Venezia, eseguito nell'anno 1711.

Il Cabianca si è cimentato, inoltre, nelle arti minori, partecipando alle decorazioni a stucco della Ca' Corner a Venezia, scolpendo gondole di ambasciatori e cesellando (intorno al 1708) quattro cannoni, dei quali due furono donati dal Senato veneziano al re di Danimarca e due, danneggiati da un incendio, sono ancora conservati all'Arsenale di Venezia.
Sebbene l'artista viva ed operi in pieno periodo barocco, si nota talvolta in lui una pacatezza di ispirazione classica: ed è questa la ragione per cui il primo giudizio critico espresso nel 1738 dal Temanza, fautore del neoclassicismo ed entusiasta del Palladio, è nei suoi confronti assai favorevole: lo considerava, infatti, "scultore insigne".
La critica moderna trova in gran parte delle sculture un'indiscutibile abilità di esecuzione, ma non riconosce al loro autore un'elevata personalità artistica; tuttavia, a parte la disparità dei risultati di volta in volta raggiunti (talune opere sono state certamente eseguite da collaboratori), non si può non sottolineare l'altezza di alcuni bassorilievi di Venezia e di Cattaro.
In particolare, tutte le opere di Cattaro offrono soluzioni tipicamente scenografiche, caratteristiche del gusto dell'epoca e, in effetti, la più ampia e la più rappresentativa parte dell'attività artistica del Cabianca si trova proprio a Cattaro e a Ragusa dove egli ebbe il periodo di maggiore creatività.

Artisti contemporanei di PENSO Francesco

 

E andate presto a dire ai suoi discepoli: «Egli è risuscitato dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete». Ecco, ve l'ho detto.

Matteo (28:7)